“TOCCO DI CLASSE!”

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(XIII dom.t.o. – Mc 4, 21-43)

Il mare, addomesticato dalla Sua Parola, ha lasciato attraccare la finalmente la barca all’altra sponda. Appena sceso a riva la folla lo circonda e l’abile penna di Marco intreccia per noi due incontri: la donna con le perdite di sangue e il capo della sinagoga.

Il tema attorno al quale ruota questo duplice incontro è la fede. Fede della donna, che sfidando le proibizioni al contatto dovute alla sua impurità rituale e sociale (Lv 15,25), non solo si scopre guarita, ma pure salvata: “Va’ la tua fede ti ha salvata” .

Fede di Giairo, capo della sinagoga, che si getta ai piedi di Gesù e chiede che sua figlia venga salvata e che sulla Parola del Maestro continua ad avere fede nonostante gli venga comunicato che la ragazza è morta. La figlia di Giairo ha dodici anni. Da dodici anni l’emorroissa soffre di perdite di sangue. Dodici è il numero della totalità in Israele, e dunque, Marco ci sta presentando due situazioni in cui descrive il massimo del dolore, la totalità della disperazione, l’apoteosi della tragedia, quando la barca viene travolta dalla tempesta.

Mi fermo un attimo a quanto Marco sottolinea nel primo dei due incontri: “Uno dei capi della sinagoga gli si getta ai piedi e lo prega con insistenza…”. Ecco… abbiamo bisogno di ripetere più volte le nostre preghiere… spesso ci manca l’insistenza dell’amore! C’è molta concretezza in questi due miracoli. Un papà che supplica per sua figlia… non indossa gli abiti della sinagoga! Il suo problema viene dalla casa… dal cuore.

Per i papà le figlie sono sempre bambine… qui la sua piccola sta morendo! Gesù lo segue… sente la preoccupazione di questo uomo. Ma ecco irrompere sulla scena una donna… si tiene a distanza dal gruppo compatto… come mai? Chi è questa donna? Giovane… anziana? Questa donna è sofferente! Da dodici anni è affetta da emorragie. Qui non c’è una evidenza… la malattia è nell’intimità… intimità femminile. 12 anni… un tempo lungo.

Dodici, l’ho già detto, significa “da sempre”… una sorta di morte lenta… a gocce! Questa donna è privata della sponsalità… della maternità. Quello che dovrebbe scandire il tempo della femminilità, diventa un dramma! In Israele poi, questo significava per la donna, non poter avere marito, e dunque senza figlio… ma anche lontana dal culto (perchè impura per le emorragie!). Questa donna è sola come una lebbrosa, perchè non potrà toccare nessuno… ma questa donna (come tutte le donne) ha coraggio… non si ferma.

E lei si fa “ladra”… ladra di miracoli! Vede passare il corteo… questa processione. Ha sentito parlare di Gesù (e noi parliamo di Gesù?… se non avesse sentito parlare!!!)… e va tra la folla… alle sue spalle… e gli tocca il mantello!

Ecco il piano del furto attuato. Rischia la donna… ma la sua fede, partendo dal cuore, attraversa il suo corpo e giunge alle mani… che toccano! Penso alle nostre celebrazioni… alla liturgia che esprime in più punti la bellezza del toccare (libri sacri, vangelo, vesti, Eucarestia). Nell’Eucarestia posta nelle nostre mani… tocchiamo Gesù! Ma non succede niente??? Forse non sappiamo ancora toccare, sfiorando? Che “TOCCO DI CLASSE” questa donna, allora! … Ci insegna che non si improvvisa l’arte del toccare!

La donna ha toccato Gesù… e lui si è lasciato toccare… avvertendone la delicatezza e la forza al tempo stesso! La leggerezza di questa donna nel toccare il mantello… è come il volo di una farfalla che si posa solo un attimo sul fiore e se ne parte carica di doni! “Chi mi ha toccato?”… avverte un modo nuovo di essere sfiorato il maestro… e chiede. “Tutti ti toccano”… rispondono i suoi! No… ha ragione Gesù: in mille gli si sono fatti vicini, ma una sola lo ha toccato.

Ha toccato il suo cuore, gli ha rubato la forza ed è guarita. Il Signore si lascia derubare… la sua forza dona guarigione e salvezza a questa donna che si ritiene inadatta, incapace, condannata. E la donna, timorosa, quasi a voler restituire quello che ha sottratto, le dice “tutta la verità”… di una vita di sofferenza, solitudine. A questo tocco, sarà seguito uno sguardo (perchè tutto si è svolto alle sue spalle).

Si aspetta di essere rimproverata e invece… diventa da quel giorno, maestra di fede. Dopo aver calmato il mare Gesù disse agli apostoli impauriti: “Non avete ancora fede?” e, oggi, all’emorroissa Gesù dice: “Va, la tua fede ti ha salvato” e a Giairo: “Non avere paura, solo continua ad avere fede”. Questa è la differenza sostanziale tra gli apostoli che pure toccano Gesù senza risultati e la donna ammalata.

Questo il solco che si crea tra Giairo e i suoi parenti che addirittura deridono Gesù: la fede. La fede placa le tempeste interiori, la fede ci guarisce dalle ferite interiori, la fede ci risuscita. Questa è la riflessione di Marco… e la nostra, spero! Mettiamoci alla scuola di questa donna… per reimparare a toccare il maestro… con coraggio e delicatezza… e sentirci chiamare da “lui” come a quella donna: figlio/figlia… la tua fede ti ha salvata/o. È così… ci credo! Anche a noi il Signore Gesù dirà: la tua fede ti ha salvato, se riusciremo ad aprire gli occhi del cuore (perché quelli del corpo sono bene aperti… eccome!!!).

Attorno a noi c’è tanta gente che ha come sola voce la sofferenza, la solitudine… l’isolamento e cerca chi doni anche un lume di speranza o qualcuno pronto a condividere. Dovremmo tutti avere la fiducia e l’umiltà della donna del Vangelo, il coraggio e la convinzione di Giairo, per poter diventare portatori di speranza.

Don Mario Russo

E' il parroco della Comunità del Sacro Cuore ai Gerolomini a Pozzuoli.

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