“Come è possibile rintracciare le cose del cielo”
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XXIII T.O. Sap 9,13-18; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33)
“Come è possibile rintracciare le cose del cielo”, si chiede l’autore del libro della Sapienza che ci introduce alla liturgia odierna.
Un testo molto bello, forse un po’pessimista, ma che tuttavia bene si sposa con questa fine estate. Una estate caratterizzata da tante cose, a partire da una rissosità politica per le prossime elezioni parlamentari… rissosità che ormai non sembra più essere una novità per la nostra Italia.
Ecco… alla fine proprio di questa estate, è straordinario vedere come la parola di Dio parta da questa riflessione, da questo libro, quello della Sapienza, scritto in realtà per il mondo non ebraico ma ellenistico e precisamente della zona di Alessandria, qualche secolo prima di Gesù.
In un ambiente ostile, straniero, questi ebrei cercano non di contrapporsi ma di aprire un dialogo. E così, dal mondo greco, prendono la sapienza… si interrogano… si pongono grandi domande sul senso della vita (cosa che per un ebreo non era poi così scontato).
L’ebraismo, infatti, è più legato alla storia, alla concretezza, senza troppo filosofare… e dunque risulta interessantissimo il tentativo dell’autore della Sapienza, di far incontrare due mondi, due culture a partire dal senso della vita. “Chi riesce a rintracciare… conoscere le cose del cielo?”… “chi riesce a capire il cuore dell’uomo?”. Ora… prendiamo queste espressioni e caliamole nella vita concreta di oggi alla luce degli avvenimenti mondiali. Stiamo leggendo un libro scritto 2000 anni fa per dei beduini… eppure parla dell’oggi… ha a che fare con la mia vita concreta… mi interroga, mi scuote, e se lo voglio, può entrare nelle profondità del mio cuore!
E il vangelo, poi, sulla stessa lunghezza d’onda, sembra quasi una risposta a queste grandi domande! Il Prologo del vangelo di Giovanni, al versetto 18 afferma: “Dio nessuno lo ha mai visto, proprio il figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”… Gesù viene e mette le cose in ordine… ci svela il volto… il vero volto del Padre, ce lo rivela… ce lo racconta… ed anche oggi, raccontandocelo, giunge a dire che lui (Gesù), immagine del Padre, “è più” della più grande gioia che possiamo vivere… della gioia dell’innamoramento, della paternità, della maternità… del far parte di una famiglia che ci vuole bene.
E per fare questo utilizza un linguaggio tipicamente semitico, che in italiano non suona molto bene “chi non odia suo padre, sua madre…”. Gesù in effetti, viene a dirci che lui può dare e ricevere amore più di quanto noi possiamo con le persone di cui ci diciamo innamorati. Certo questo è un bel presupposto, perché Gesù tocca le corde più intime, chiedendo una radicalità nella sequela. Non ci chiede di non avere mogli, figli,… di non provare gioia, ma di renderci conto che per tutte le gioie legittime, belle, grandi che siamo chiamati a vivere, c’è un in più… qualcosa di più grande… qualcosa che potenzia questi amori e gioie della nostra vita.
Nel vangelo di questa domenica Gesù sta rispondendo proprio agli interrogativi del libro della sapienza: “cosa è la vita… cosa è la gioia…?”. “Io sono la vita! Io sono la gioia… la pienezza della tua vita!!!”. Se Gesù avesse ragione… se fosse veramente così, forse vale la pena interrogarsi! Se fosse Lui la risposta all’inquietudine del cuore dell’uomo che lo porta ad assumere atteggiamenti o cercare risposte che non colgono il cuore?
Alla fine dell’estate, il Signore ci invita a farci due conti in tasca, come faremmo prima di affrontare l’ingente spesa di una casa nuova, per accorgerci che il nostro cuore ha bisogno di una pienezza che Dio solo può donare. È possibile incontrare il Cristo: interiormente, nella preghiera, nel volto del fratello, per attimi. È possibile, nonostante i nostri evidenti limiti! Gesù è passione infinita, dono totale, pienezza, inquietudine.
Egli è! Facciamoci bene i conti in tasca, allora… calcoliamo attentamente su cosa stiamo investendo la nostra vita… cosa ci stimola e ci inquieta, ci distrae e ci smuove. La proposta del Signore è sconcertante e affascinante e se, dopo duemila anni, milioni di persone oggi la ascolteranno, significa che forse è vero: solo Dio può colmare la nostra inquietudine, lui solo può riempire il desiderio di gioia, di amore autentico che abita in ciascuno di noi. Concludo: Mettere Dio al centro della nostra vita, non è escludere amori, gioie, affetti… ma è potenziarli, purificarli, magari riuscendo a non fare più confusione fra sentimento ed emozione, fra bene e amore, fra cose di testa e cose di cuore!
Ne sa qualcosa Filemone, simpatico cristiano delle origini, cui Paolo indirizza un biglietto di accompagnamento rimandandogli un suo schiavo che si era rifugiato presso l’apostolo. Paolo invita Filemone ad uscire dalla logica di questo mondo, padrone-schiavo, per entrare nella logica del Dio di Gesù Cristo, fratello-fratello.
Paolo non lo sa, ma in questo piccolo biglietto pianta il seme che diventerà l’albero dell’abolizione della schiavitù. Dio al centro, rivoluziona la nostra vita, a partire dal cuore. Se il cuore è abitato da lui, un mondo nuovo si apre a noi, a partire da relazioni che hanno il sapore della verità e del rispetto. Il Signore Gesù, ci insegni ad essere discepoli autentici, professando con la nostra vita di avere il cuore pieno della sua presenza. Così sia…