“DIO MI AMA… NONOSTANTE ME!”

sesta domenica di pasqua 2021
sesta domenica di pasqua 2021

(VI domenica di Pasqua – Gv 15,9-17)

Siamo nel contesto dell’ultima cena e il maestro consegna il suo testamento spirituale ai discepoli. C’è un clima mesto, di una tristezza che si percepisce… ma Gesù dona fiducia e invita a non essere turbati.
Le parole di Gesù che l’evangelista Giovanni riporta, sono parole “calde” che vogliono anche oggi, dopo più di 2000 anni da quando sono state pronunciate, scaldare il nostro cuore di credenti. Scrive Giovanni che: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
E dopo aver detto questo… “Gesù depone le vesti, prende un asciugatoio, se lo cinge, versa dell’acqua nel catino e lava i piedi ai suoi discepoli” (Gv 13,2-5). È la lavanda dei piedi. Nella cultura giudaica, la lavanda dei piedi era un compito ingrato. La gente infatti girava per lo più scalza: ma lungo i sentieri, le strade e i campi non c’era solo polvere, ma un po’ di tutto, dagli sputi agli escrementi degli animali.
Quindi era un compito veramente riprovevole e per questo era l’inferiore che lavava i piedi di una persona considerata superiore. Così la donna (che non contava niente) li lavava al marito, i figli (che pure non contavano in quella cultura) al padre, lo schiavo al padrone. Il vangelo dice: “Mentre cenavano…” (Gv 13,2): il lavaggio non è quindi quello prima del pranzo ma mentre stanno cenando, mentre cioè stanno facendo l’Eucarestia (siamo nel giovedì santo). Quindi l’Eucarestia è quest’amore qui. “Depose le vesti” (Gv 15,4): le vesti erano il mantello. Il mantello era la dignità. Gesù non teme di perdere la propria dignità facendo questo gesto.
“Prese un asciugatoio e se lo cinse attorno alla vita e lavò i piedi” (Gv 15,4): è il segno della lavanda. Gesù fa ciò che gli altri non facevano. Poi si dice: “Dopo che ebbe lavato i piedi, riprese le vesti e sedette di nuovo” (Gv 13,12): si è rimesso il mantello, è tornato a sedersi, ma che ne è stato dell’asciugatoio e del grembiule?
Forse Giovanni si è dimenticato di dirlo?
No: quell’asciugatoio lì rimane… per sempre! Quasi a voler dire: Dio ti ama gratuitamente, incondizionatamente, aldilà di tutto… e sempre! Siamo amati senza meriti, senza aspettative e senza pretese: facciamo anche noi così!
“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Un malato di lebbra era stupito, esterrefatto, estasiato, da come Madre Teresa lo curava. Aveva un amore, una cura, un rispetto, che prima non aveva mai provato.
Con lei lui si sentiva importante e degno di amore. Così un giorno le chiese: “Ma Madre, come fa ad amare così?”. E lei: “Perché anch’io sono amata così”. E il malato: “Dev’essere un gran signore chi la ama così (il malato pensava chiaramente ad una persona terrena)”. E Madre Teresa: “Eh sì, è proprio un gran Signore!”. Questo amore, poi… produce gioia: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
E lo sappiamo bene… i segni della gioia sono: sorriso, serenità, generosità, pace… Dio è gioia! Si può amare i propri figli ed essere sempre critici, mai contenti, sempre con qualcosa da appuntare? Se i nostri figli non sono gioia, lacrime di commozione, felicità di averli, senso per la nostra vita, bisogna farsi delle domande. E ancora: a volte è difficile stare assieme al partner, ma se non c’è mai gioia, il desiderio di stare insieme, di ridere, di darsi piacere, di scherzare, di ringraziarlo, di abbracciarsi; se l’altro non è una gioia della mia vita, bisogna farsi delle domande. George Bernanos scriveva in Diario di un curato di campagna: “L’opposto di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi”.
Nel Vangelo il verbo amare è sempre tradotto con il verbo dare (non c’è amore più grande che dare la vita); e non… sentire o emozionarsi, ma dare; quasi un affare di mani, di pane, di acqua, di veste, di tempo donato, di porte varcate, di strade condivise. L’amore si vede: si vede da come viviamo se noi amiamo Gesù oppure no… e alla fin fine il vangelo ci riporta lì… alla sua semplicità disarmante.
L’amore si vede da come rispondo al telefono, da come parlo di politica, da come mi impegno per le ingiustizie di questo mondo, da come saluto mia moglie, da come educo mio figlio, da come predico in chiesa, da come tratto mia nonna… da come studio… Insomma… come coniugare questo verbo amare nella mia vita concreta? Noi discepoli di oggi abbiamo questo comandamento che è quello di costruire una società che si caratterizza dall’amore e da niente altro.
È difficile amare, perdonare, servire… ma è da questo che la nostra identità cristiana sarà chiara per tutti e prima di tutto a noi stessi. Ed è su questo che costruiamo la Chiesa. Non è il campanile più alto o la processione più lunga che fa bella una parrocchia… ma le relazioni che i cristiani vivono tra di loro e con coloro che vivono accanto.
Penso alla mia vita: ruota attorno a Lui? Ma veramente chi mi incontra, chi ascolta le mie parole, chi indugia sul mio modo di fare e sul mio stile di vita… riconosce che sono discepolo di Gesù? Poi io sono pure prete, quindi sono quasi subito identificabile. Merita pensarci un attimo!

Don Mario Russo

E' il parroco della Comunità del Sacro Cuore ai Gerolomini a Pozzuoli.

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