“Il frammento che unisce…”

corpus domini
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SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI – Gv 6,51-58

Una domenica per riflettere su cosa facciamo ogni domenica! Abbiamo bisogno di tanta fede per capire, per non banalizzare, per lasciarci convertire. Si… perché quella doppia mensa della Parola e dell’Eucarestia, che viviamo ogni domenica… quell’incontro gioioso col risorto che faceva dire ai martiri di Abitene: non possiamo non celebrare il giorno del Signore… oggi è diventata, quando va bene, stanca abitudine, reiterata cerimonia, perdendo il senso dell’incontro con Dio.

Cosa ci è successo? Perché è così difficile partecipare ad una celebrazione in cui si respiri la fede? Perché le persone che abbiamo intorno, troppo spesso, sono solo degli anonimi spettatori con i quali non abbiamo nulla da spartire? Noi siamo qui ogni domenica perché crediamo nella presenza di Cristo in mezzo alla sua comunità, nel segno efficace dell’Eucarestia… nella Parola che riecheggia nei nostri cuori. Paolo scrive ai corinzi… una comunità vivace, ma anche molto rissosa.

Persone di carattere diverso, di condizione sociale diversa che faticano, dopo avere incontrato il Signore, a trovare sufficienti ragioni per costruire comunione. Proprio come accade oggi! E Paolo ha una felice intuizione ed afferma: “se ci frammentiamo così tanto, prendiamo il frammento che ci unisce!”.

Il pane spezzato riporta all’unità, all’essenziale, al centro… è Lui che unisce… noi non ne siamo capaci!!! La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi che pregano Dio, ma la comunità dei diversi radunati nell’unico Dio e l’Eucarestia, ne è il catalizzatore. Ecco cos’è l’Eucarestia. Ma è inutile illudersi: quello che ancora manca alle nostre liturgie è la certezza che il Signore si rende presente. Manca la fede! Cosa è per noi l’Eucarestia domenicale?

Chiediamocelo! L’Eucarestia, poi, ci spinge alla condivisione… e anche questo è un tasto delicato perché, a volte, vorremmo restarcene per conto nostro, preferendo i piccoli gruppi alla grande assemblea. Piccoli gruppi esclusivi ed escludenti che decretano il fallimento continuo e costante delle Eucarestie celebrate!!! L’Eucarestia è il segno con il quale si costruiscono le amicizie vere. Una persona che si nutre di Gesù, compie la stessa cosa che ha fatto Cristo: “Noi diventiamo ciò che mangiamo” diceva Papa San Leone Magno e come è vera questa affermazione! Cibandoci di Cristo, noi siamo oggi degli altri Cristo: “Prendete e mangiate, prendete e bevete.

Questo è il mio corpo e il mio sangue dato per voi: fate questo in memoria di me”. E, una volta usciti dalla Santa Messa, dovremmo sentirci cambiati, trasformati… percepire una gioia dentro, una carica interiore che vorremmo mettere in atto per il resto della settimana. Nel vangelo che abbiamo ascoltato, viene ripetuto da Gesù più volte che è necessario mangiare la sua carne e bere il suo sangue. Il Cap 6 di Giovanni, è la lunga catechesi tenuta da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, sul pane di vita… immediatamente dopo la condivisione dei pani. Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti in ordine cronologico a mettere per iscritto la sua esperienza con Gesù, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere il pericolo di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni ha un obiettivo ben preciso: vuole opporsi alla “spiritualizzazione” dell’Eucaristia, cioè a quella scollatura tra ciò che celebriamo ogni domenica e la vita di tutti i giorni. È necessario scegliere, capire che il rito deve informare la vita e da qui il senso del dimorare, del rimanere.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Bello questo invito a fare casa con Gesù… bello e impegnativo. Altro aspetto importante di questo breve Vangelo di otto versetti, è che Gesù per otto volte ci parla di un Dio che si dona: “Prendete la mia carne e mangiate”. Farsi pane è un bisogno incontenibile di Dio. Qui emerge il proprium del cristianesimo: non più un Dio che domanda agli uomini offerte, doni, sacrifici, ma un Dio che offre, sacrifica, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo. E poi: vi siete mai chiesti perché Gesù ha scelto il pane come simbolo dell’intera sua vita. Perché per arrivare ad essere pane c’è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono nascosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco dentro la spiga, farina dentro il chicco.

Il percorso del pane è quello di coloro che amano senza contare le fatiche. Semini il grano nella terra oscura, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. Ma non si ferma li… Per diventare pane deve andare avanti fino a giugno quando la spiga gonfia si piega verso la terra, quasi a voler ritornare lì, a dire: “ho finito”. Invece viene la mietitura, e se lo stelo dice “basta, ho già patito la violenza della falce!”, non diventa pane.

Poi viene la battitura, la macina, il fuoco, tutti passaggi duri per il chicco. A cosa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il cuore… togliere la crusca perché appaia la farina. Dio vuole arrivare al buono di ciascuno! Cristo si fa pane perché ognuno di noi prima di morire deve diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama. Dio è pane incamminato verso la mia fame. Sapermi cercato, nonostante tutte le mie distrazioni, nonostante questa mia vita superficiale e le risposte che non do… sapere che io sono il desiderio di Dio… è tutta la mia forza, tutta la mia pace!

Don Mario Russo

E' il parroco della Comunità del Sacro Cuore ai Gerolomini a Pozzuoli.

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