“SIAMO NOI QUELLA STANZA!”
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(Solennità del Corpus Domini – Mc 14,12-16.22-26)
La scorsa domenica abbiamo riflettuto sul mistero del Dio trinitario… oggi la liturgia ci chiede di fissare il nostro sguardo su Gesù. Lui che incontra le nostre vite … le nostre storie… e ci sazia della sua presenza! Abbiamo bisogno di molto Spirito Santo per capire, per non banalizzare, per lasciarci convertire. Si… perché quella doppia mensa della Parola e dell’Eucarestia, che viviamo ogni domenica… quell’incontro gioioso col risorto che faceva dire ai primi martiri di Abitene: non possiamo non celebrare il giorno del Signore… l’inizio della settimana, il pane del cammino, la cena del Signore ripetuta con fedeltà, in obbedienza, fin dalle origini, oggi è diventata, quando va bene, stanca abitudine o reiterata cerimonia, perdendo il senso dell’incontro con Dio, la consapevolezza dell’immensa fortuna che abbiamo nell’avere in mezzo a noi la presenza stessa del Signore che si fa pane spezzato, che si dona. Cosa ci è successo? Perché è così difficile partecipare ad una celebrazione in cui si respiri la fede? L’Eucarestia domenicale non è un problema di lingua o di rito, ma di fede. Certo, sarebbe cento volte meglio se le nostre assemblee fossero più accoglienti, cantassero canti sempre più belli e intonati… se le nostre chiese fossero davvero luoghi ospitali che invitano ad alzare lo sguardo. Ma è inutile illudersi: quello che ancora manca alle nostre liturgie è la certezza che il Signore si rende presente. Manca la fede! Cosa è per noi l’Eucarestia domenicale? Chiediamocelo! È davvero quel “rendimento di grazie” insito nel significato del termine greco? L’Eucarestia non è un rito, un obbligo, una cosa da farsi perché si è costretti… è un ritrovarci insieme tutte le settimane, nel giorno in cui il Signore è risorto, per celebrare, per vivere insieme con altre persone questo momento di grande grazie! Per questo, quando alziamo il pane e il calice, diventati per la forza dello Spirito Santo Corpo e Sangue di Gesù, dovremmo chiederci: “Come riesco a donarmi ai miei fratelli e alle mie sorelle? Riesco a vivere la mia vita come dono sul modello di Cristo?”. L’eucarestia ci spinge alla condivisione e anche questo è un tasto delicato perché, a volte, vorremmo restarcene per conto nostro, preferendo i piccoli gruppi alla grande assemblea. Piccoli gruppi esclusivi ed escludenti che decretano il fallimento continuo e costante delle eucarestie celebrate!!! L’eucarestia è il segno con il quale si costruiscono le amicizie vere. Una persona che si nutre di Gesù, compie la stessa cosa che ha fatto Lui: dona la vita per tutti… in tutte le realtà nelle quali siamo chiamati a operare e a vivere: dal mondo della cultura, alla politica, alla finanza, agli affetti, alle relazioni familiari. “Noi diventiamo ciò che mangiamo” diceva il papa san Leone Magno e come è vera questa affermazione! Cibandoci di Cristo, noi siamo oggi degli altri Cristo! E una volta usciti dalla Santa Messa, dovremmo sentirci cambiati, trasformati… percepire una gioia dentro, una carica interiore che vorremmo mettere in atto per il resto della settimana. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, nudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. Ecco perché nel primo millennio il Corpo del Signore non era l’Eucarestia, ma l’assemblea: gli uomini e le donne. Il retaggio di questo c’è rimasto quando noi nelle grandi feste incensiamo l’assemblea. Si incensa Dio presente nel vangelo, nel pane consacrato e nell’assemblea (nelle persone). Il Corpo di Cristo è, allora, il pane consacrato, le persone, gli uomini, le donne, io, il mio corpo. Avete ascoltato il vangelo? Il Maestro dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?” e chiede ospitalità ad uno sconosciuto. In quella stanza al primo piano, sul monte Sion che sovrasta la città, di fronte al Tempio, Gesù sta per dare l’addio ai suoi discepoli, facendo loro il regalo più grande: la sua presenza eterna. “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Non sappiamo neppure il nome di quel tale che mette a disposizione la sua stanza! Sua, perché vi resterà per sempre. Sua, perché chi accoglie il Maestro, anche senza saperlo, anche senza consapevolezza, si vede trasformare la vita. Proprio come accade nelle nostre spente assemblee domenicali!!! Il Signore, mi ha dato molte gioie nella vita. Una di queste è il potere conoscere molte comunità… realtà giovanili sparse nella nostra diocesi e di parlare con loro… pregare con loro. Ho partecipato ad assemblee di comunità vivaci, coraggiose… a veglie di preghiera intense, a messe piene di gioia e di emozione. Ma ho incontrato anche messe fiacche, tiepide, distratte, spente, esasperanti. Quante volte incontro giovani che si sono avvicinati al Signore, convertiti alla… e dalla Parola e poi faticano a nutrire la propria spiritualità in città piene di chiese e povere di fede! Quante volte, ho partecipato con dolore e insofferenza a celebrazioni arrancate, frettolose, senza preghiera! Tuttavia… Gesù, sceglie di fare “sue” anche quelle stanze! Non ha la puzza sotto il naso, il Signore, si adatta!!! Ha voluto con sé, nel momento più faticoso della sua vita, i suoi dodici poveri apostoli… poveri e fragili come noi, instabili e lunatici come noi! “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Mettiamoci con coraggio fra quei discepoli invitati… Partecipiamo con costanza e forza alle nostre celebrazioni, anche se sbiadite… noiose… vuote! Se possibile, mettiamoci in gioco per cambiarle, per renderle più gioiose, accoglienti, oranti. Addobbiamola, la stanza alta, rendiamola accogliente al meglio delle nostre forze e delle nostre possibilità. Ma se ciò non è possibile, pazienza. Se si adatta Gesù, noi non ci adatteremo? Viviamo tempi difficili, tempi in cui la fede è messa a dura prova. Penso al dolore di tanti sacerdoti… penso al mio dolore quando siamo ridotti dai “fedeli!!!” ad essere funzionari o burocrati… elargitori di documenti ed esecutori di processetti matrimoniali facendoci avvertire tutta la tiepidezza e la formalità della fede! Spesso, lo so, la Messa è peso, fatica, incomprensione. Ma se crediamo che il Maestro è presente, al di là della povertà del luogo e delle persone, tutto cambia. L’Eucarestia diventa il centro della settimana, la Parola celebrata ritornerà in mente durante il lavoro e lo studio. E cambia, così, il modo di vivere, di pensare, di amare. È vero: c’è gente che fa il bene senza bisogno di andare a Messa. Ma per me, cristiano, il Bene deriva dall’incontro con Cristo. È vero: la preghiera può essere personale. Ma l’incontro della comunità ci fa sentire ed essere Chiesa. È vero: non tutte le omelie brillano per attualità e concretezza. Ma è la Parola al centro, non la sua spiegazione. È vero: la domenica è il giorno del riposo. Ma il riposo è affare di cuore, non di sonno. “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Siamo noi quella stanza!