TI PERDONO PERCHÉ IL RANCORE MI FA MALE!
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(XXIV t.o. – Mt 18,21-35)
Ad un debitore il re condonò diecimila talenti di debiti… ma il suo cuore non cambiò!
Leggevo che diecimila talenti corrispondono a circa cinque milioni di euro. Insomma capite… questo servo non ce l’avrebbe fatta nemmeno dilazionando in 100 anni questa somma da restituire. “Abbi pazienza con me e restituirò…” e il padrone cosa fa? Condona tutto!
Lo fa perché mosso a compassione… perché da solo quel servo non ce l’avrebbe fatta… perché la salvezza è gratis… resta un atto gratuito della grazia di Dio! Ma la parabola continua… il servo “graziato”… agisce senza grazia verso i suoi debitori!
Brutta cosa… lezione dimenticata. Il servo ha creduto che quel perdono ricevuto potesse tenerselo per se senza farlo diventare misura del suo agire verso l’altro! La ragione del perdono cristiano è bene che lo capiamo è: io perdono chi mi ha offeso perché io per primo sono un perdonato.
Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca. Non perdono perché l’altro cambi, ma perché io ho urgente bisogno di cambiare! Dire perdono ma non dimentico non ha senso. Io perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare. Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà. Quello di oggi è un Vangelo di quelli che si fa fatica a mandare giù… eppure è ciò che maggiormente caratterizza la nostra identità cristiana.
Siamo chiamati a perdonare sempre! Riflettiamo bene su questa pagina perché contagi, un poco almeno, la nostra vita. Il servo ingiusto non ha compreso che il perdono non poteva “finire” a lui, fermarsi, ma doveva continuare… camminare fino al fratello! Il re aveva dimenticato, condonato, stracciato il foglio con quell’enorme debito… e lui che fa? Uscendo incontra un suo debitore e tira fuori il foglio che aveva in tasca di un miserabile debito e glie lo sventola sotto il naso.
Poteva imitare il gesto magnanimo del suo re… e invece si è lasciato sfuggire quella stupenda opportunità. Gesù, in questa parabola ci insegna che il perdono non è un gesto eroico, ma la logica conseguenza di chi prende coscienza di quanto perdono, lui per primo, ha ricevuto dal Signore!
Siamo chiamati a perdonare perché perdonati… non perché più buoni… non dimentichiamolo mai!!! E poi… io non ti perdono per dimostrare qualcosa, ma perché ne ho un bisogno assoluto, perché il rancore fa male a me prima che a te, perché ho bisogno di abbandonare la rabbia che avvelena la mia vita.
Riuscire a perdonare persone che mi hanno profondamente ferito non è cosa semplice. Nella concretezza di ciò che sono, devo dare il massimo, non pretendere da me il perdono perfetto, che non vivrò mai, ma esercitare il perdono possibile. Il perdono guarisce chi lo esercita, non colui a cui viene destinato.
Sono rimasto colpito da una preghiera che una vecchia mamma brasiliana, analfabeta, fece durante una preghiera comunitaria. Gli squadroni della morte gli avevano torturato e ucciso due figli sindacalisti negli anni della dittatura. Disse: “Signore che ascolti e proteggi le vedove, fammi vendetta: converti chi ha ucciso i miei figli!” … tremendo no? Molto meglio di mille omelie sul perdono. Se prendessimo più sul serio questa pagina del Vangelo! Se riuscissimo a costruire delle comunità di perdonati!
Abbiamo bisogno di donare e ricevere il perdono… di accettare il perdono degli altri, senza rivendicazioni e ripicche. Di chiedere perdono, ammettendo il nostro limite. Le famiglie, le società, la Chiesa cambierebbero volto se vivessimo meglio il perdono!
Come ha intuito il grande Giovanni Paolo II, riprendendo e ampliando Isaia: “non c’è pace senza giustizia. Ma non c’è giustizia senza perdono”.