“TORNÒ A CASA!”
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(Domenica del figlio prodigo – IV quaresima – Lc 15,1-3.11-32)
“Un uomo aveva due figli”… ed incontriamo il Dio di Gesù Cristo. Gesù si rivolge ai farisei e agli scribi che mormorano contro di lui perché se ne sta con i pubblicani e i peccatori. Conoscendo i pensieri del loro cuore e soprattutto con la libertà di chi può dire tutto… a suo modo obietta… e lo fa come sempre, in parabole.
Parla al cuore Gesù… parla al cuore degli scribi e dei farisei che son bravi a scandalizzarsi in fretta… che conosco la lettera della Parola ma non la vita! Parla a noi, oggi Gesù… e ci racconta di un uomo… che è padre solo perché sappiamo che aveva due figli.
Luca, infatti, opportunamente, come lui solo sa fare… individua da subito il problema: “Un uomo aveva due figli”… un uomo… e non un Padre! Un uomo che non è riconosciuto come padre da nessuno dei due! Il più giovane ha deciso di andar via… non si ritrova in quelle quattro mura… si sente soffocato in quella casa… non libero… magari anche controllato. Lui vuole godersi la vita… non gli interessa più di quella casa… di quei legami familiari (che di fatto già non c’erano!)… E pretende dal padre la sua parte di eredità.
E il padre lo ascolta… lo lascia andare, non lo richiude, non lo incatena, non gli fa neppure un lungo discorso per tentare di trattenerlo. Forse quel figlio, in quanto figlio, ha il suo diritto di sbagliare. E il padre lo lascia andare. Parte il figlio… si allontana convinto di aver finalmente conquistato la sua vita!
Parte libero… libero di fare tutto… libero di farsi nuovi amici, cercarsi nuove avventure… provare tutto ciò che il mondo gli offre. Gli amici arrivano… e con loro anche il divertimento… fino a quando può! I soldi finiscono… l’eredità è stata dissipata… il vaso è colmo… il fosso raggiunto fino in fondo! Si ritrova a pascolare porci… a mangiare ciò che gli animali impuri per eccellenza di Israele, mangiano. Fu allora che “rientrò in se stesso”… ecco il primo passo di una rivoluzione interiore: fermarsi… rientrare in se stessi… e rialzarsi! “Tornerò da mio padre”. A metà del racconto, per la prima volta, c’è il riconoscimento della paternità. Quell’uomo è riconosciuto come padre!
Perché fa così il peccato… ti getta nel fango facendoti perdere ogni orientamento, ogni riconoscimento… tutto il buono che ti circonda… illudendoti su una riconquistata… falsa libertà che si fa carcere della vita prima ancora che dell’anima! Quel figlio è andato… ha sperperato tutto… ha toccato il fondo ma… ha la forza di rimettersi in piedi e di ritornare sui suoi passi… perché ha nostalgia del “padre”. Siamo ormai proiettati verso la Pasqua… il tempo stringe… ma non per Dio. Proviamo a rientrare in noi stessi… in qualunque situazione ci troviamo, proviamo a fermare la corsa della quotidianità… regaliamoci un tempo per noi… per Dio! Rialziamoci… compiamo passi positivi… ritorniamo a casa.
Quando attorno a noi non c’è più nulla di familiare, quando la solitudine diventa pesante, allora… proprio allora, deve nascere in noi la nostalgia del ritorno, e sentire nel cuore una voce che sussurra: devo tornare! Il figlio va’… ritorna… e per strada pensa anche alle parole giuste… parole di vergogna… richiesta di perdono… speranza di essere riaccolto! E sarà allora che si ritroverà figlio di un padre che lo sorprende! Se sapremo rientrare in noi stessi e tornare a lui, ne saremo semplicemente sorpresi.
Lo vedo quel padre… li a passeggiare sul balcone di casa ad attendere e guardare lontano… I giorni passano ma lui è li ad aspettare… fino a quando… eccolo!!! E giù per le scale… corre nel cortile dopo aver spalancato la porta… corre e lo abbraccia. Non una parola… nessuna ramanzina… ma baci.
Non vuole sentire parole… ne richieste di perdono! Lo abbraccia e basta… perché lo ha già perdonato quando lo ha visto da lontano! E lo fa rivestire (senza nemmeno pensare a lavarlo… lui che era stato con i porci!)… ordina che gli siano portati anello e calzari nuovi! Tutta la dignità di figlio è stata recuperata!
Ecco il nostro Dio: uno che ti sa sorprendere sempre! Il nostro, è un Dio che ci viene incontro… che si mette sulle nostre tracce, che non ci lascia soli! Possiamo anche andare in luoghi che pensiamo lontani da Dio, in tuguri o dirupi. Lui non si scoraggia… viene e ci accoglie… ci raccoglie e ci riconduce!
Ed è festa… come per quel pastore che perde una su cento pecore… come per quella donna che ritrova la dramma perduta! Gioia in cielo per un solo peccatore ritrovato che per 99 giusti che si ritengono tali, perché non hanno bisogno di conversione. In fondo la differenza sta tutta qui: chi si sente perduto e chi si sente salvo da solo. Ed è anche qui la differenza tra i due fratelli: quello che tocca il fondo, che va a mangiare con i porci… quello che ha chiesto la sua parte di eredità, che se ne va via… che si allontana dal proprio padre, da colui che lo ha sempre amato; e l’altro fratello che sembra fedele ma alla fin fine, è un altro che rivendica meriti per le cose che fa, per la sua presunta fedeltà, per l’essere rimasto col padre, anche se di questo padre non ha capito proprio niente! Quale il problema? O noi percepiamo di non riuscire a salvarci da soli o rimarremo sempre dei giusti che non hanno bisogno di Dio.
Le nostre chiese, purtroppo, pullulano di giusti autoproclamatisi tali, che diventano un muro invalicabile per la misericordia, l’accoglienza e il perdono dell’altro. Gente che si ritiene tale e dunque, come il fratello maggiore della parabola, autorizzati a giudicare, a condannare, a disapprovare l’altro o i comportamenti dell’altro! Come dice magnificamente Papa Francesco, dove c’è la maldicenza, il giudizio, la diceria, lì Dio non c’è. E ancora lo stesso papa: “Ci sono persone che vivono parlando male del prossimo e costoro sono ipocriti , perché non hanno la forza, il coraggio di guardare i loro difetti… Anche San Giovanni Apostolo su questo punto è molto esplicito: “colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre” (cfr. 1Gv 9).
“Pertanto, ogni volta che giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore e peggio, quando ne parliamo di loro con gli altri, siamo cristiani omicidi”. “Se parli male del fratello, uccidi il fratello”, ha spiegato Papa Francesco, sottolineando che su questo punto “non c’è posto per le sfumature”.
Chiunque giudica il proprio fratello, sta imitando “Caino, il primo omicida della Storia”. Ecco… il nostro Dio non è così! Come quel Padre, Dio ci attende… ci attende per abbracciarci, per dirci “guarda che non è mai troppo tardi per alzarti e risollevare la tua dignità… tu non sei mai in un così tale abisso da non poter ritornare a me, da non poterti fare abbracciare, da non poterti fare amare!”. Questa, se volete, è la tenerezza di Dio di cui Papa Francesco parla ripetutamente.
Possiamo attraversare anche deserti… notti oscure… momenti senza risposte e senza uscita; Dio è lì, con me… nel fondo più fondo per risollevarmi e fare festa per me… con me! ?”. Noi non siamo il nostro peccato!!! Noi siamo un qualcosa che può ancora e sempre sbocciare!
Quando, finalmente, le nostre comunità capiranno il Vangelo della misericordia e, con semplicità, lo faranno diventare metro di giudizio del loro agire, la Chiesa tornerà a diventare faro che illumina il cammino degli uomini.
Teniamo lontano da noi il modo di fare del primo figlio… che ricorda il male… che fa danno parlando del suo fratello che è tornato! Cambiamo rotta… benediciamo (diciamo bene!) gli altri con la nostra lingua… e Dio sarà per noi… Benedizione e Perdono!